La formazione originale delle Sugababes è tornata, più forte e consapevole che mai. Dopo anni di attesa, Mutya, Keisha e Siobhán stanno riconquistando i palchi europei con il loro tour — e il 2 maggio arrivano live al Fabrique di Milano.
A distanza di oltre vent’anni dal loro debutto, le Sugababes sono tornate dove tutto è cominciato: insieme, nella formazione originale. Dopo una lunga attesa e un percorso fatto di evoluzioni artistiche e personali, Mutya Buena, Keisha Buchanan e Siobhán Donaghy sono pronte a scrivere un nuovo capitolo della loro storia. Con singoli che spaziano dal pop energico di Jungle all’intimità struggente di Weeds, le tre artiste britanniche riaffermano la loro identità musicale, oggi più matura e indipendente che mai.
Il 2 maggio, il tour europeo farà tappa anche a Milano, dove le Sugababes si esibiranno accompagnate da due nuove voci da tenere d’occhio: Luna e Rose Gray. In questa intervista, il trio si apre su maternità, amicizia, creatività, fan LGBTQ+ e sul valore del credere in se stesse, sempre. Le abbiamo intervistate:

Iniziamo con questa reunion tanto attesa: per la prima volta, siete di nuovo insieme nella formazione originale delle Sugababes. Com’è stato riunirvi in questo momento delle vostre vite e carriere?
Sinceramente non avrei mai pensato che, dopo aver avuto due splendidi figli, la mia carriera musicale sarebbe ripartita in modo così spettacolare. Ma con la maternità è arrivata anche una sicurezza e una calma che prima non avevo. E credo che per tutte noi, portare la nostra esperienza di vita in questo nuovo capitolo delle Sugababes sia stato preziosissimo.
Nel 2011 siete tornate come Mutya Keisha Siobhán, ma ora siete di nuovo ufficialmente le Sugababes. Cosa significa oggi per voi quel nome rispetto al passato?
Quel nome è sempre stato importante per noi. Fin dal momento in cui il nostro manager dell’epoca, Ron-Tom, lo ha inventato, ci siamo sentite identificate.
Quegli anni in cui non potevamo usare il nome Sugababes sono stati frustranti, ma ci hanno dato una grinta e una resilienza che forse non sapevamo di avere.
Ora lavorate di nuovo in modo indipendente. Cosa significa per voi avere il pieno controllo creativo del progetto?
Per noi non è un’opzione cedere il controllo creativo. E crediamo che anche i nostri fan non vogliano una versione di noi che non ci rappresenta. Vogliono leggere le nostre esperienze di vita e i nostri cuori infranti. Anche dal punto di vista visivo, siamo tornate a un’estetica molto “London”, che ci rappresenta, e collaboriamo con artisti visivi straordinari: tutto fa parte dell’arte.
In passato avete persino investito personalmente in brani come Flatline. Cosa vi spinge a credere così tanto in voi stesse?
È difficile pensare di mollare quando, da sempre, conosciamo il nostro potenziale. Abbiamo una forte fiducia in noi stesse, quindi smettere non è un’opzione. Raddoppiamo l’impegno, ogni volta. Anche investendo di tasca nostra, se serve, per portare avanti il progetto.
“Jungle” è il vostro primo singolo di questo nuovo capitolo — ha un sound moderno, energico, con un tocco spoken-word che richiama molto le vostre radici londinesi. Perché avete scelto proprio questo brano per iniziare?
Ci sembrava un richiamo a Overload, in un certo senso. A livello sonoro, quei due brani ci sembrano connessi. Volevamo anche qualcosa di più movimentato, un pezzo uptempo, e abbiamo subito sentito che si sarebbe inserito bene nella nostra scaletta — che è difficile da cambiare, piena di classici e pezzi forti.
Sentire l’affetto non solo per Jungle, ma ora anche per Weeds durante il tour nei palazzetti, è stato davvero gratificante.
La reazione dei fan è stata incredibile. Ve lo aspettavate dopo tutto questo tempo?
Onestamente, non sapevamo cosa aspettarci. Ma volevamo cantare di nuovo insieme e ci abbiamo messo tutto. Vedere posti come Glastonbury dover aumentare la sicurezza per gestire la folla per noi ci ha lasciato davvero a bocca aperta.
“Weeds”, il vostro ultimo singolo, ha un tono completamente diverso — più emotivo, delicato, quasi spirituale. Lo avete definito “una delle canzoni più belle” che abbiate mai fatto. Ce ne parlate meglio?
L’idea è partita da una scrittrice svedese, Tove Burman. Abbiamo sentito la bozza iniziale e ci siamo subito innamorate del mondo magico che aveva creato. Poi abbiamo lavorato per renderlo nostro, aggiungendo parti, e Jon Shave, il fantastico produttore, ha commissionato la sezione d’archi. Sono andata a vederli registrare a Metropolis, a Londra, e mi sono messa a piangere. Era così potente.
Il tema della “crescita insieme” è centrale in Weeds. Pensate che rispecchi anche la vostra amicizia e il percorso che avete fatto insieme?
In questo brano parliamo di relazioni personali esterne. Per esempio, per me si tratta di mio marito, e di come mi renda la versione migliore possibile di me stessa. Ma ovviamente sì, siamo cresciute diventando donne che sanno gestire bene le differenze creative.
Ognuna ha il suo spazio per essere pienamente sé stessa, e siamo fortunate perché è proprio il contrasto tra noi a rendere le Sugababes così interessanti.
Parlando di crescita: è partito il vostro tour più grande di sempre, con date in tutta Europa, e si chiuderà a Milano il 2 maggio. Come vi state preparando per questo momento?
Tutte le routine salutari possibili: sollevamento pesi, succhi verdi, vitamina C ad alto dosaggio. Riscaldamenti vocali ogni giorno. Tanto riposo e, soprattutto, tempo con la famiglia.
Cosa possiamo aspettarci dal tour? Come sarà visivamente?
Il nostro lighting designer Ed Warren è un mago. Lo show sembra epico. Giochiamo molto con luci e ombre, passiamo da momenti grintosi a momenti belli e potenti. Ci sono tante nuove immagini e anche un omaggio al passato, con filmati di noi da adolescenti che provavamo prima ancora di pubblicare qualcosa! È molto emozionante.
E per quanto riguarda i look — ci date qualche anticipazione?
Adoro un look in denim con cristalli di Simone Rocha che indosserò. Tanto nero e argento. E in generale cambieremo spesso, mantenendo però sempre uno stile “London”.
C’è un album in arrivo?
L’album è praticamente pronto. Mancano solo alcuni ritocchi.
Il tour si collega direttamente alla stagione dei festival estivi, ma stiamo facendo il possibile per finire tutto il prima possibile!
Dopo tanti anni nell’industria musicale, con tutti i suoi alti e bassi, cosa vi motiva ancora a creare, esibirvi e connettervi col pubblico?
Proprio il pubblico. Guardare la folla e vedere tutta quella gioia che ci torna indietro è emozionante. Con il mondo che sembra un caos, uno show è un modo meraviglioso per offrire un po’ di evasione.
Negli anni, avete costruito un seguito LGBTQ+ forte e leale — un pubblico che vi ha davvero elevate e abbracciate come icone. Cosa significa per voi questo legame?
È un onore, e saremo sempre alleate.
Se poteste parlare a voi stesse nel 2000 — appena agli inizi come Sugababes — cosa vi direste?
Da dove cominciare? Come si dice a un’adolescente di non essere insicura e piena di complessi? Avremmo dovuto rimuoverci gli ormoni per farcela! L’adolescenza è dura per tutti, punto. Quindi mi darei semplicemente il permesso di sentire tutto.
Cosa ascoltate prima di salire sul palco per caricarvi?
Lasciamo che sia la nostra fantastica band a scegliere, e cambiano ogni sera. Ma adoro che ci sia così tanta musica nuova, soprattutto femminile. E da quello che vedo e sento, queste artiste si supportano a vicenda tramite gruppi WhatsApp, si sostengono e si danno forza. C’è molto da imparare da queste giovani! Stanno facendo le cose nel modo giusto!
Avete dei rituali prima di salire sul palco?
Qualcuno del nostro team fa un piccolo discorso/motivazione. Poi mettiamo tutte le mani al centro e diciamo: “1, 2, 3, SUGABABES!”

